Tuesday, September 13, 2016

Memories from the past

Article by La Repubblica

"Mamma e manager, si può fare"

Anna Gatti, nata a Pavia ("L'età non la dico nemmeno sotto tortura"), vive a San Francisco con la figlia di venti mesi, Athena, che adora. Fa avanti e indietro con Palo Alto, sede di Skype, dove è arrivata qualche mese fa da Youtube per contribuire a costruire il business della pubblicità. Ottimo rapporto con il padre "non convenzionale" della bimba, si fa aiutare da una governante sudamericana. E quando viaggia lo fa con la sua piccola. Ha smesso da poco di praticare paracadutismo, qualche rally lo fa ancora. Si è raccontata tornando a casa a fine giornata, in auto sulla strada che da Palo Alto porta a San Francisco.


"Ho frequentato il liceo classico a Pavia, poi Università Bocconi a Milano, quindi il Phd che mi ha portato quì. Sono venuta a Stanford perché il professore migliore al mondo per i miei studi era lì, il professor Jim March. Il mio indirizzo era Organization Behaviour, ovvero studiare l'impatto dei cambiamenti organizzativi. Insomma, il prof, una specie di guru del settore, ha risposto alla mia application e ha detto "You are welcome". Così nel 1999 sono arrivata qui parlando un inglese non eccellente. Normale per lo standard italiano e quindi vuol dire che qui è considerato pessimo. Il primo meeting me lo ricordo ancora: Marsh mi ha accolto davanti all'edificio degli International Studies, dove lavoravano allora due o tre premi Nobel. Che emozione. Poi mi ha portato a pranzo dove c'erano alcuni di questi professoroni. Sono diventata una sua allieva, ho seguito le classi di Phd e alla fine mi ha dato la possibilità di fare una ricerca di post dottorato, dal 99 al 2002. Ho trascorso tre anni a Stanford da ricercatrice. Nel 2002 sono stata contattata dall'Onu per un lavoro a Ginevra, al Who, World Health Organization. Studiavo come bisognava riorganizzare il sistema sanitario nei paesi strutturati per emergenza e non per supportare i malati cronici".

Il ritorno in California. "Nel 2004 mi sono stancata di Ginevra, mi mancava l'adrenalina della Silicon Valley. Allora ho detto: me ne vado. Non sono fatta per la carriera diplomatica. Così mi hanno assunto a MyCube, fondo di venture capitalist che investe in start-up. E aveva come managment director qui negli Stati Uniti Enzo Torresi, italiano arrivato in Silicon Valley con Olivetti. Lo conoscevo dai tempi di Stanford. Sono tornata qui nel 2004 in estate, quando Google è sbarcata in Borsa. Nel giro di un anno sono diventata partner del loro fondo: mi trovavo a fare una cosa tipica di questa zona però non in uno dei fondi più grandi. Sedevo in un paio di board di start-up ma al tempo stesso consideravo che mi mancava la parte oprativa. Allora ho detto ok, proviamo ad andare in questa direzione. Ho fatto colloqui a Google, mi hanno assunto cone capo di Consumer Operation International. Siamo nell'aprile del 2007.  A quel punto stavano cercando qualcuno che supportasse il lancio delle operation di Youtube a livello internazionale, vendita di pubblicità online e acquisizione di contenuto web. Mi sono presa questa responsabilità e l'ho avuta sino a febbraio 2011 con grandissima soddisfazione. Mi sono divertita da morire".

Google addio. "A un certo punto ho capito che non imparavo più come prima. Nel frattempo un mio amico di Skype continuava a dirmi che volevano costruire il business dell'ardvertising, che non avevano mai fatto prima. Avremmo bisogno di una persona come te e io ho deciso: "I do it". Siamo a febbraio 2011. A Skype adesso sono director of advertising, ovvero responsabile della strategia e delle operazioni di tutte le iniziative di monetizzazione del prodotto free, quello che gli utenti non pagano. Un bella sfida. Dopo appena un mese e mezzo che ero lì Microsoft ha annunciato che ci comperava per 8,5 miliardi di dollari. Me la sono rischiata prima e me la godo adesso, con le stock options".

Che accoglienza a San Francisco. "Quando sono arrivata all'aeroporto ero sola con la mia valigia. Mi ero da poco lasciata con il mio fidanzato italiano che però viveva in Brasile. Dall'Italia avevo cercato sul sito di Stanford un'associazione di studenti italiani, ne ho trovata una che si chiamava "Amici miei". Ho contattato il presidente via mail. Dopo dieci minuti mi è arrivata una telefonata: "Ciao, sono Antonino". Faceva un dottorato di ingegneria. Si è offerto di venirmi a prendere all'aeroporto, mi ha accompagnato a Stanford a prendere il visto e tutto quando serve per frequentare l'università, ad aprire il social security number, fondamentale per stare qui, e infine mi ha trovato una sistemazione a casa di un professoressa italiana di matematica, sul divano letto, per permettermi di cercare una casa. Dopo due ore mi sono trovata in una cena di italiani. Fantastico. Molti di loro sono ancora miei amici. Quattro giorni  dopo  ho trovato casa. Tutto molto semplice. E' stato bello. Grazie a una comunità italiana molto molto viva, molto "amici miei". Io ero l'unica che organizzava eventi business like, tipo incontri coi nomi di italiani da anni in Silicon Valley, come Torresi, Zappacosta, De Luca. Gli altri associati erano specializzati in cose più leggere ma molto, molto divertenti. E poi c'erano queste mogli e fidanzate che cucinavano benissimo".

La mia vita qui. "Il papà di mia figlia non è il mio fidanzato. Ci siamo conosciuti al matrimonio di una mia amica. Poi  stiamo stati insieme, ma non ci siamo mai riconosciuti nei canoni della coppia tradizionale. Però ci siamo sempre piaciuti. Stiamo bene insieme. A quei tempi per lavoro viaggiavo moltissimo e trascorrevo la mia vita negli alberghi. Lui è di San Francisco ma vive a New York. E' più grande di me di vent'anni e non ha mai avuto figli. Questa cosa è andata avanti un paio d'anni. Siamo amici, ci stimiamo. Poi una volta - eravamo a Londra - mi ha detto: 'Quando mai ti sentirai pronta, vorrei essere il padre non convenzionale di tuo figlio. Non voglio sposarti'. Ha aggiunto che non vivremo mai insieme, non saremo una coppia, al massimo avrebbe preso una casa vicino alla mia. 'Mi piacerebbe che tu fossi la mamma di mio figlio'. Eravamo a cena. Ci ho pensato un po': sei simpatico, non vuoi venirmi in casa, e quindi ho detto: vabbé proviamoci. Sono rimasta incinta, bambina bellissima e, chissà, potremmo anche averne un'altra. Con la stessa formula. In realtà io gestisco Athena Sofia a tempo pieno. Quando va tutto bene è una figata, quando ci sono dei momenti in cui devi prendere delle  decisioni, beh, non è facile: devi sentirti questa scelta calzata sulla pelle per sostenere l'impegno. Se no vai giù come una pera. Di carattere sono un po' una rompiballe. Ciò che conta è che è una figlia voluta, questa è la cosa bella. Lei adesso ha venti mesi, è il padre stravede per lei. Appena può la prende e ci gioca. L'adora".

Mamma e manager a San Francisco
. "E' tanta roba. Devi essere super organizzata, devi imparare a focalizzare la tua attenzione solo sulle cose importanti. Quelle meno le puoi delegare e lo devi fare, anche se sei stata cresciuta in modo diverso. Così da un mese prima che nascesse ho assunto una governante, che adesso vive con noi. Sono andata in maternità una settimana prima del parto, fino ad allora ho lavorato col pancione. Prima di ogni riunione chiedevo sempre: chi è l'autista designato che mi porta in ospedale se si rompono le acque? Quando è successo ero a Palo Alto, sono andata in ospedale. Ero sola. Il padre ha preso il primo aereo ed è venuto da New York. La bimba va a una scuola italiana, cerco di godermela il più possibile. Quando viaggio per lavoro, lei è quasi sempre con me. Non è banale organizzarsi però, se tu la prendi bene, è solo questione di logistica".

Quel meeting con Ballmer
. "Quando Skype venne acquisita da Microsoft, il Ceo Steve Ballmer decise di fare una serie di meeting con i nuovi dipendenti in giro per il mondo. In quel periodo ero in Italia (faccio parte del cda di Buongiorno) e lui aveva programmato una riunione la domenca alle 13.30 a Londra. Che dovevo fare? Ho preso il primo volo da Linate la domenica e sono arrivata con Athena. Tutto l'excecutive team se la coccolava, se la spupazzava. E' stato davvero carino".

Tornare in Italia? "A Lavorare no. A vivere per un po' di mesi, se non hai impegni e puoi goderti le bellezze naturali e artistiche, sì: la qualità della vita è davvero alta. Mi piacerebbe aumentare la presenza nei board di aziende italiane, per trasferire a loro l'esperienza che ho fatto qui. Ma lavorare a tempo pieno no". 

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